Breve guida all'ascolto del "Quintetto KV 452"
di Mozart
Wolfgang Amadeus Mozart
(Salisburgo, 1756 – Vienna, 1791)
Quintetto KV 452 in Mib maggiore per pianoforte e fiati
Tempi:
Largo – Allegro moderato
Larghetto
Rondò: Allegretto
Organico:
Pianoforte, oboe, clarinetto, corno, fagotto
Composizione:
30 marzo 1784
Prima esecuzione:
1° aprile 1784
Prima edizione:
Gombart, Augusta 1799
Durata:
25’ circa
«[…] il più bel lavoro che io abbia mai composto»
«Ho composto due grandi concerti e inoltre ho scritto un
Quintetto, che ha prodotto davvero i più grandi applausi. Considera questo
Quintetto il più bel lavoro che io abbia mai composto; è scritto per oboe,
clarinetto, corno, fagotto e pianoforte. Vorrei che tu l’avessi ascoltato colle
tue orecchie. E con quale grazia venne eseguito!»
Con tali entusiastiche parole, in una lettera del 10 aprile
1784, indirizzata al padre, Mozart parlava del Quintetto KV 452, finito di
comporre il 30 marzo di quell’anno. Tre anni prima, un ennesimo scontro con
Collaredo aveva spinto il compositore, cacciato a pedate da un cortigiano
dell’arcivescovo, il conte Arco, a trasferirsi a Vienna. In questa città Mozart
dà lezioni private, base principale del suo reddito, suona in numerosi concerti
(in particolare, tutte le domeniche prende parte agli appuntamenti organizzati
dal barone Gottfried van Swieten), e, naturalmente, si dedica alla
composizione.
Tra le opere che vedono la luce nei primi anni viennesi non si possono non ricordare: Die Entführung aus dem Serail, i sei Quartetti per archi, dedicati a Haydn, e, soprattutto, i Concerti per pianoforte e orchestra dal KV 449 in poi; quest’ultimo genere tocca l’apice proprio nel 1784, anno di maggiore successo per Mozart nella capitale. Lo studio dedicato all’ampliamento del repertorio concertistico e la ricerca di nuove soluzioni formali si riflettono anche nel Quintetto KV 452; con i concerti, infatti, il Quintetto detiene un rapporto di parentela stilistica, condividendone la struttura in tre tempi, di cui l’ultimo è un Rondò, molto simile ai finali concertistici.
L’opera, però, è testimone anche della speciale attenzione che Mozart riserva agli strumenti a fiato nelle proprie partiture; il compositore dimostra, in queste splendide pagine, la perfetta conoscenza dei quattro strumenti, nessuno dei quali è predominante né messo in secondo piano. I quattro fiati suppliscono una piccola orchestra o un quartetto d’archi che accompagna il pianoforte, ma non rinunciano a quelle parti solistiche che hanno spesso, per esempio, proprio nei concerti per pianoforte e orchestra.
Ogni strumento è messo in luce nella sua qualità peculiare, emerge in forma concertistico-stilistica e in pari tempo cantabile, talora in un’unica figurazione che porge, poi, allo strumento successivo nella variante a esso congeniale: è come se il timbro dei fiati avesse qui determinato la melodia. La scelta dell’organico poneva, però, delle scelte particolari al compositore: i fiati, a differenza degli archi, non permettono fusioni coloristiche compatte con il pianoforte e c’è il rischio che il loro suoni ingeneri noia. Mozart, di conseguenza, modellò il materiale melodico in brevi frasi che creano e risolvono rapidamente le tensioni. Il risultato è una composizione di eccezionale maestria e inventiva, nella melodia, nel ritmo e nell’uso della sonorità strumentale. Caratteristica dell’opera, oltre all’innegabile meraviglia dell’amalgama delle voci, è, difatti, la straordinaria tensione del brano: attraverso un susseguirsi continuo di sfumature, Mozart trasforma le varie idee adattandola alle potenzialità espressive degli strumenti.
Tra le opere che vedono la luce nei primi anni viennesi non si possono non ricordare: Die Entführung aus dem Serail, i sei Quartetti per archi, dedicati a Haydn, e, soprattutto, i Concerti per pianoforte e orchestra dal KV 449 in poi; quest’ultimo genere tocca l’apice proprio nel 1784, anno di maggiore successo per Mozart nella capitale. Lo studio dedicato all’ampliamento del repertorio concertistico e la ricerca di nuove soluzioni formali si riflettono anche nel Quintetto KV 452; con i concerti, infatti, il Quintetto detiene un rapporto di parentela stilistica, condividendone la struttura in tre tempi, di cui l’ultimo è un Rondò, molto simile ai finali concertistici.
L’opera, però, è testimone anche della speciale attenzione che Mozart riserva agli strumenti a fiato nelle proprie partiture; il compositore dimostra, in queste splendide pagine, la perfetta conoscenza dei quattro strumenti, nessuno dei quali è predominante né messo in secondo piano. I quattro fiati suppliscono una piccola orchestra o un quartetto d’archi che accompagna il pianoforte, ma non rinunciano a quelle parti solistiche che hanno spesso, per esempio, proprio nei concerti per pianoforte e orchestra.
Ogni strumento è messo in luce nella sua qualità peculiare, emerge in forma concertistico-stilistica e in pari tempo cantabile, talora in un’unica figurazione che porge, poi, allo strumento successivo nella variante a esso congeniale: è come se il timbro dei fiati avesse qui determinato la melodia. La scelta dell’organico poneva, però, delle scelte particolari al compositore: i fiati, a differenza degli archi, non permettono fusioni coloristiche compatte con il pianoforte e c’è il rischio che il loro suoni ingeneri noia. Mozart, di conseguenza, modellò il materiale melodico in brevi frasi che creano e risolvono rapidamente le tensioni. Il risultato è una composizione di eccezionale maestria e inventiva, nella melodia, nel ritmo e nell’uso della sonorità strumentale. Caratteristica dell’opera, oltre all’innegabile meraviglia dell’amalgama delle voci, è, difatti, la straordinaria tensione del brano: attraverso un susseguirsi continuo di sfumature, Mozart trasforma le varie idee adattandola alle potenzialità espressive degli strumenti.
Il primo tempo inizio con Largo introduttivo
nel quale ogni strumento esibisce la propria individualità e indipendenza dagli
altri, stabilendo, nello stesso tempo, un perfetto dialogo concertanti; il
Largo sfocia nell’Allegro moderato, di carattere pastorale,
e anche qui è il carattere dominante degli strumenti a governare l’invenzione
melodica. Il secondo tempo, un Larghetto, è il fulcro musicale del
Quintetto: il tema d’inizio, semplice e trasparente, è condotto frase per frase
con modulazioni armoniche. Infine, chiude l’opera un Rondò in
6/8, dal ritmo vivace e con un tema gioioso, ricco di vitalità.
Mozart scrisse il Quintetto in MI b magg. in previsione di
un concerto da tenersi nel Teatro di Corte il 1° aprile del 1784. È
interessante leggere l’intero programma del concerto, anche come documento
sulle gigantesche proporzioni delle serate musicali dell’epoca:
1) Una Sinfonia con trombe e
timpani
2) Un’aria cantata dal Signor
Adamberger
3) Il Signor Mozart,
Kappelmesiter, suonerà un nuovo Concerto sul fortepiano
4) Una quasi nuova Sinfonia
5) Un’aria cantata da M.lle
Cavalieri
6) Il Signor Mozart
improvviserà solo sul Fortepiano
7) Per concludere, una Sinfonia
Il 10 giugno 1784 la famiglia Ployer organizzò un concerto a
Döbling e in quell’occasione Mozart eseguì il Quintetto di fronte al musicista
napoletano Paisiello. In una lettera al padre del 9 giugno 1784, Wolfgang
scrive: «Il Signor Ployer ha organizzato un concerto a Döbling: la signorina
Babette eseguirà il suo nuovo concerto in Sol [KV 453] e io il Quintetto [KV
452]; dopo suoneremo insieme la grande Sonata per due pianoforti [KV 488]. Ho
intenzione di andare a prendere Paesello [sic], perché voglio che senta la mia
allieva e il mio concerto».
Il Quintetto di Beethoven op. 16: affinità e differenze
con il KV 452
Dedicato al principe Joseph von Schwarzenberg, il Quintetto
op. 16 per pianoforte e fiati ebbe una genesi abbastanza lunga: iniziato nel
1794 fu concluso solamente tre anni dopo e pubblicato, dall’editore Mollo, nel
1801. L’opera è spesso accostata al Quintetto KV 452 di Mozart e molti sono, in
effetti, gli elementi che collegano le due composizioni: identico è l’organico
(oboe, clarinetto, corno, fagotto e pianoforte), identica la tonalità (mi b
magg.), uguale l’impianto formale (tre movimenti), simile l’atmosfera, serena e
armoniosa.
Il Quintetto op. 16, come il suo “modello”, inizia con un’introduzione lenta che porta a un Allegro non troppo, ma è soprattutto il Rondò finale, caratterizzato da un vivace ritmo in 6/8, che tanto ricorda i finali dei concerti mozartiani, a mettere in risalto l’ammirazione per Mozart. Nonostante le evidenti affinità che collegano lo splendido quintetto mozartiano a quello giovanile di Beethoven, quest’ultimo presenta caratteri di notevole autonomia nella concezione generale.
Lo spirito concertante, prevalente nell’opera di Mozart, è abbandonato in favore di una maggiore fusione timbrica dei quattro strumenti a fiato, cui il pianoforte si affianca mantenendo, però, un ruolo di primaria importanza. Vale la pena ricordare che, nel 1797, Beethoven elaborò anche una trascrizione del Quintetto riducendolo a Quartetto per pianoforte, violino, viola e violoncello; scelta, questa, probabilmente dettata dalla possibilità di rendere maggiormente appetibile la pubblicazione, visto l’organico più consueto. La parte del pianoforte rimase identica, mentre il cambio e la diminuzione degli altri strumenti (da quattro a tre) costrinsero il compositore a rivedere l’intera partitura. La trascrizione presenta, rispetto all’originale, anche una maggiore seriosità e compostezza dovuta, principalmente, alla differente timbrica degli archi rispetto ai fiati.
Il Quintetto op. 16, come il suo “modello”, inizia con un’introduzione lenta che porta a un Allegro non troppo, ma è soprattutto il Rondò finale, caratterizzato da un vivace ritmo in 6/8, che tanto ricorda i finali dei concerti mozartiani, a mettere in risalto l’ammirazione per Mozart. Nonostante le evidenti affinità che collegano lo splendido quintetto mozartiano a quello giovanile di Beethoven, quest’ultimo presenta caratteri di notevole autonomia nella concezione generale.
Lo spirito concertante, prevalente nell’opera di Mozart, è abbandonato in favore di una maggiore fusione timbrica dei quattro strumenti a fiato, cui il pianoforte si affianca mantenendo, però, un ruolo di primaria importanza. Vale la pena ricordare che, nel 1797, Beethoven elaborò anche una trascrizione del Quintetto riducendolo a Quartetto per pianoforte, violino, viola e violoncello; scelta, questa, probabilmente dettata dalla possibilità di rendere maggiormente appetibile la pubblicazione, visto l’organico più consueto. La parte del pianoforte rimase identica, mentre il cambio e la diminuzione degli altri strumenti (da quattro a tre) costrinsero il compositore a rivedere l’intera partitura. La trascrizione presenta, rispetto all’originale, anche una maggiore seriosità e compostezza dovuta, principalmente, alla differente timbrica degli archi rispetto ai fiati.
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W.A.Mozart: " Quintetto K452 in Mib Mag (Largo - Allegro Moderato)"
W.A.Mozart: " Quintetto K452 in Mib Mag (Larghetto)"
W.A.Mozart: " Quintetto K452 in Mib Mag (Rondò-Allegretto)
Ludwig Van Beethoven: "Quintetto per pf. e fiati op 16 (Largo)"
Ludwig Van Beethoven: "Quintetto per pf. e fiati op 16 (Allegro Moderato)"
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