martedì 30 giugno 2015

Cao Yaqiong - F.Chopin - Polonaise Fantaisie

Musica: Fryderyk Chopin
            ·Allegro maestoso
Genere: 
musica romantica

Organico: s
trumento solista



Strumento: pianoforte

Composizione: 
1846

Edizione: 
Brandus, Parigi, 1846


Dedica: Madame A. Veyret







Composta nel 1845 e pubblicata nel 1846, dedicata a M.me A. Veyret, amica di Chopin e George Sand, la Polacca-Fantasia è uno dei più perfetti esempi della cosiddetta "forma aperta", che si amplia svolgendosi, si libera, si dissolve. 

Chopin ha realizzato in quest’opera un capolavoro di grandissima libertà ritmica e strutturale. Forse quest'opera assomiglia più ad una ballata o a una fantasia che non a una Polacca, che è qui riconoscibile solo dal ritmo. 
Si tratta di una delle composizioni più complesse mai concepite da Chopin, che inanella qui molti temi diversi, imprevedibili e sempre nuovi, con relativi sviluppi, concatenandoli però in una forma rigorosa. 
E' un'opera tra le più importanti, tra tutte quelle di Chopin, per il futuro della storia della musica. Infatti qui questo grande poeta del pianoforte fonde tutti gli aspetti dalla sua personalità, in quanto, mentre nella forma "polacca" esprime il suo attaccamento alla musica nazionale del suo paese, vi trasfonde tutto il suo genio con una invenzione timbrica e armonica che non si può non definire per lo meno "eversiva".

La scrittura pianistica è qui grandiosa, di tipo sinfonico. I temi sembrano improvvisazioni, si dissolvono rapidamente o si sviluppano in modo del tutto inaspettato e in apparenza contraddittorio. Questa Polacca-Fantasia appartiene così al più tenero e commovente mondo di Chopin, e costituisce una perfetta sintesi del suo pensiero, uno dei punti più alti della sua arte.



Di profonda poesia, quest'opera non godette di grande fama tra i contemporanei di Chopin: Liszt, pur amando molto Chopin, e riconoscendo a questo pezzo "bellezza e grandezza di idee", definì questo pezzo "al di fuori della sfera dell'arte".



Fantasia

Il nome "fantasia" è legato alla nascita e all'evoluzione della musica strumentale. Un medesimo nome è stato impiegato per definire tipi di composizioni estremamente differenti, non solo nel tempo ma anche negli stessi luoghi e negli stessi momenti storici. 

In definitiva il nome sta ad indicare una vera e propria attitudine dell'atto del comporre, in cui l'autore sceglie da sé medesimo le strutture formali e le rielabora a seconda del proprio estro. 



Ecco così che nel Cinquecento "fantasia" sta ad indicare un brano brillante e improvvisativo, o anche un brano dal carattere imitativo, cioè con una scrittura più rigorosa. È nel Seicento che la fantasia acquista la sua libertà dall'alternanza di situazioni contrastanti, come liberi recitativi e sezioni cantabili e omofoniche. 

Grande sviluppo hanno, su questo modello, le fantasie organistiche. Con l'avvento dello stile galante e dell'età del classicismo, la fantasia acquista una maggiore autonomia stilistica, aderendo a modelli diversi, come la forma sonata o il rondò. Nel corso dell'Ottocento, poi, il termine si piega a un significato ulteriore e più sottile; diviene infatti sinonimo di "sonata", ma di una sonata più libera, lontana da regole precise e tale da lasciare maggiore libertà creativa all'autore. È in questa accezione che scriveranno "fantasie" Beethoven, Schumann, Liszt. 



Nel tardo romanticismo la fantasia passa dal versante cameristico a quello orchestrale, come sinonimo di poema sinfonico. E nel nostro secolo il termine viene nuovamente impiegato nella stagione neoclassica, come ritorno alla prassi rinascimentale e barocca. Un'altra accezione del termine, fiorita nel secolo scorso, è quella di pot-pourri operistico, centone di melodie celebri realizzate sul pianoforte e destinate all'intrattenimento da salotto.



Polacche di Chopin

Cao Yaqiong - F.Schubert - Introduzione e Variazioni su "Trockne Blumen"

Musica: Franz Schubert

Testo: Wilhelm Müller


Organico: voce, pianoforte


Composizione: ottobre - novembre 1823


Edizione: Sauer & Leidesdorf, Vienna, 1824


Dedica: Carl Freiherr von Schönstein









Die schöne Müllerin D 795 Op. 25 (La bella mugnaia) è un ciclo di 20 lieder composti da Franz Schubert nel 1823 sui testi di Wilhelm Müller, poeta romantico minore, che aveva composto un omonimo ciclo di poesie. Di soli tre anni più vecchio di Schubert, morirà anch'egli in giovine età.

Il ciclo narra la storia di un giovane mugnaio che lascia la propria casa e, incamminandosi lungo la via indicata dal ruscello, arriva in un altro mulino. La bellezza del posto e l'amore che prova per una giovane e bella mugnaia lo trattiene in quel luogo. Il ragazzo mette in atto una serie di azioni spinto dai sentimenti che pervadono il suo animo e dal desiderio che questi vengano ricambiati dalla bella mugnaia. Quando finalmente questo avviene, spunta inaspettatamente un terzo incomodo, un cacciatore, che conquisterà facilmente il cuore della sua amata. La tristezza per il perduto amore non permetterà al giovane di sopravvivere e il desiderio di morte sarà cantato dallo stesso ruscello.

Il protagonista assoluto dei lieder è il giovane mugnaio; quanto narrato è visto attraverso le sue parole e i suoi sentimenti. Tuttavia l'elemento essenziale della poetica è l'acqua che scorre, parla, canta.

Le poesie sono piene di sfumature e molto delicate. Schubert ne ha colto completamente lo spirito. La parte musicale integra ed arricchisce la parte poetica.

Di seguito si riporta un breve escursus del ciclo.
  1. Das Wandern: Das Wandern ist des Müllers Lust - Mässig geschwind (si bemolle maggiore)
  2. Wohin?: Ich hört' ein Bächlein rauschen - Mässig (sol maggiore)
  3. Halt!: Eine Mühle seh' ich blinken - Nicht zu geschwind (do maggiore)
  4. Danksagung an den Bach: War es also gemeint - Etwas langsam (sol maggiore)
  5. Am Feierabend: Hätt' ich tausend Arme zu rühren - Zeimlich geschwind (la minore)
  6. Der Neugierige: Ich frage keine Blume - Langsam (si maggiore)
  7. Ungeduld: Ich schnitt es gern in alle Rinden ein - Etwas geschwind (la maggiore)
  8. Morgengruss: Guten Morgen, schöne Müllerin - Mässig (do maggiore)
  9. Des Müllers Blumen: Am Bach viel kleine Blumen stehn - Mässig (la maggiore)
  10. Tränenregen: Wir sassen so traulich beisammen - Ziemlich langsam (la maggiore)
  11. Mein!: Bächlein, lass dein Rauschen sein - Mässig geschwind (re maggiore)
  12. Pause: Meine Laute hab' ich gehängt - Ziemlich geschwind (si bemolle maggiore)
  13. Mit dem grünen Lautenbande: Schad' um das schöne grüne Band - Mässig (si bemolle maggiore)
  14. Der Jäger: Was sucht denn der Jäger - Geschwind (do minore)
  15. Eifersucht und Stolz: Wohin so schnell - Geschwind (sol minore)
  16. Die liebe Farbe: In Grün will ich mich kleiden - Etwas langsam (si minore)
  17. Die böse Farbe: Ich möchte ziehn in die Welt hinaus - Ziemlich geschwind (si maggiore)
  18. Trockne Blumen: Ihr Blümlein alle, die sie mir gab - Ziemlich langsam (mi minore)
  19. Der Müller und der Bach: Wo ein treues Herze in Liebe vergeht - Mässig (sol minore)
  20. Des Baches Wiegenlied: Gute Ruh', gute Ruh' - Mässig (mi maggiore)

Trockne Blumen

La forma di questo Lied romantico viene riproposta da Schubert in una composizione postuma (op. 160 D 802): le Variazioni sul tema ‘Trockne Blumen’ per pianoforte e flauto, una interessante indicazione (‘piano e flauto’, non il più comune ‘flauto e piano’) che lascia intendere la chiara concezione cameristica del brano. Dal tema si scioglierà un’alternanza flauto/piano che ‘dicono’ con pari dignità le parti melodiche nelle sette variazioni. La voce del flauto è guidata dal tema del Lied, che viene proposto per la prima volta dal pianoforte nelle otto battute iniziali dell’Andantino, dopo un’Introduzione a suggerire all’ascoltatore un contesto d’introspezione, oscillando dalla tonalità minore a quella maggiore: funerea l’atmosfera creata dal ritmo di pavana iniziale, che vede però risolversi in una possibilità luminosa, alla battuta 23 con quell’accordo di quinta diminuita che suggerisce un sorriso, un’apertura. Gli ultimi versi del Lied, infatti, cantano la fine dell’inverno, la rinascita, la vita: Dann, Blümlein alle, Heraus, heraus! Der Mai ist kommen, Der Winter ist aus.


È incredibile come la struttura musicale concepita da Schubert in queste otto battute che ripropongono il tema di ‘Trockne Blumen’ si integri con il senso del testo poetico e alla sua evoluzione verso una prospettiva di serenità (il ritorno alla tonalità maggiore).


I due linguaggi, quello musicale e quello poetico, convivono in questa partitura regalando un piccolo gioiello alla storia della letteratura del flauto (poche sono le pagine del primo Romanticismo dedicate a questo strumento) e a quella del piano, a cui viene offerta la non scontata possibilità di ‘cantare’, un aspetto che contraddistingue Schubert anche nella produzione esclusivamente pianistica: il primo movimento della sonata per pianoforte in Mi minore, per rimanere nella stessa tonalità delle Variazioni, si sviluppa lungo articolate linee melodiche nel registro medio-alto, quasi a ricalcare la tessitura della voce umana.


Così nelle Variazioni su Trockne Blumen, di grandiosa maestria è lo sviluppo graduale di questo tema malinconico in Mi minore verso una sesta variazione (tempo di marcia) e una settima variazione (Allegro), con cui si conclude il brano, nella tonalità di Mi maggiore. Una lenta e densa metamorfosi, un viaggio dalla morte alla vita, una catarsi.



TROCKNE BLUMEN
(in tedesco)


Ihr Blümlein alle,
die sie mir gab,
euch soll man legen
mit mir ins Grab.

Wie seht ihr alle mich an so weh,
als ob ihr wüsstet, wie mir gescheh?
Ihr Blümlein alle, wie welk, wie blass?
ihr Blümlein alle, wo von so nass?

Ach, Tränen machen nicht maiengrün,
Machen tote Liebe nicht wieder blühn,
und Lenz wird kommen, und Winter wird gehn,
und Blümlein werden im Grase stehn.
und Blümlein liegen in meinem Grab,

die Blümlein alle, die sie mir gab.

Und wenn sie wandelt am Hügel vorbei
und denkt im Herzen: Der meint' es treu!
Dann, Blümtein alle, heraus, heraus!
Der Mai ist kommen, der Winter ist aus.

FIORI APPASSITI
(in italiano)

Voi fiorellini tutti,
che lei mi dava,
dovrete esser deposti
con me nella tomba

Perché mi guardate così tristi,
come se conosceste la mia pena ?
Voi fiorellini, perché così pallidi ed appassiti,
voi fiorellini, perché così bagnati?

Ahimè, le lacrime non fanno rinverdire,
non fanno rifiorire l'amore morto,
e verrà la primavera, passerà l'inverno,
e fiorellini compariranno nel prato,
e fiorellini staranno nella mia tomba,
tutti quelli che lei mi dava.

E quando lei camminerà davanti alla collina
pensando nel suo cuore: lui era fedele!
Allora, fiorellini, fuori, fuori tutti!
Maggio sarà venuto, e l'inverno passato


Introduzione e Variazione

Illustrare il significato del termine "introduzione" potrebbe sembrare pleonastico; eppure in campo musicale questo termine si presta a interpretazioni differenti e a distinguo. Un significato generico è intuitivo: l'introduzione è l'inizio di una composizione musicale; ma all'interno di questa definizione generica si nascondono molte sfumature. L'introduzione può essere un movimento staccato di una composizione vasta (il primo numero di un'opera lirica); oppure la prima sezione di un movimento in due o più sezioni. In entrambi i casi si pone il problema di quale sia il rapporto della parte con il tutto. Secondo la logica dello stile classico, impostasi poi come modello di riferimento per tutto l'Ottocento e oltre, l'introduzione per antonomasia è una sezione lenta che può venire premessa a una sezione più ampia, in genere articolata in forma-sonata, che costituisce il tempo iniziale di una sonata, un quartetto, una sinfonia (raramente il tempo finale, come nella Sonata op. 69 di Beethoven). Ciò che, da Haydn in poi, è significativo, è che il compositore fa uso nell'introduzione di alcuni frammenti tematici che verranno poi ripresi all'interno della seguente forma-sonata; in questo caso l'introduzione costituisce la premessa interlocutoria di qualcosa che verrà esplicitamente affermato in seguito. Ma si dà anche il caso opposto, quello dell'assoluta indipendenza del materiale delle due sezioni (Beethoven, Sinfonia n. 4); e dunque l'introduzione serve a creare un effetto di "sorpresa" con il passaggio alla sezione successiva. Capita poi che il materiale dell'introduzione venga anche riproposto ripetutamente nel corso della forma-sonata, con la funzione di potenziare l'effetto interlocutorio (Beethoven, Sonate op. 13 e op. 31 n. 2).


Procedimento fondamentale del linguaggio musicale che consiste nel trasformare con diversi artifici un elemento tematico di base.



PARTITURE

Cao Yaqiong - G.Donizetti - Roberto Devereux

Titolo originale: Roberto Devereux ossia il conte di Essex
Lingua originale: Italiano

Genere: Tragedia lirica
Musica: Gaetano Donizetti
Libretto(pdf): Salvadore Cammarano
tratto dalla tragedia di Jacques-François Ancelot Elisabeth d'Angleterre.
Atti: Tre
Epoca di composizione: 1837
Prima rappr.: 29 ottobre 1837
Teatro:
Teatro San Carlo di Napoli




Con Anna Bolena(pdf) e Maria Stuarda(pdf), fa parte del cosiddetto "Ciclo delle regine Tudor" di Donizetti.

Nel ruolo di Elisabetta si cimentarono cantanti come Montserrat Caballé, Leyla Gencer, Beverly Sills e Edita Gruberova.



Donizetti tardò la composizione dell'opera a causa della morte della moglie e del terzo figlio. L'opera, che doveva debuttare a settembre, fu sottoposta a censura e il debutto al San Carlo fu rinviato di un mese. Finalmente l'opera andò in scena il 29 ottobre 1837, ottenendo un grande successo, tale da farla rimanere tuttora nel repertorio donizettiano.

Le opere del Donizetti oggi più sovente rappresentate nei teatri di tutto il mondo sono L'elisir d'amore(pdf), la Lucia di Lammermoor(pdf) e il Don Pasquale(pdf). Con frequenza sono allestite anche La fille du régiment, La Favorite, la Maria Stuarda, l'Anna Bolena, la Lucrezia Borgia e il Roberto Devereux.

La trama


Atto I


Sala terrena nel palagio di Westminster

Le dame osservano Sara, sola in un angolo a piangere mentre legge un libro (Geme! Pallor funereo le sta dipinto in volto). Le amiche distolgono l'amica dai suoi pensieri, che afferma di essere commossa dalla storia che sta leggendo, mentendo. Ella infatti pensa all'amato Roberto (All'afflito è dolce il pianto). Entra la Regina, che si rivolge con fare amichevole a Sara, e acconsente ad ascoltare il marito di lei, il Duca di Nottingham, e la sua difesa a favore di Devereux. Elisabetta teme che questo la tradisca (L'amor suo mi fè beata), ma Sara la rassicura.



Entrano Lord Cecil e Gualtiero, che riferiscono il responso del Parlamento: Devereux è condannato per tradimento durante la guerra. Elisabetta dice che rifletterà sulla condanna, se approvarla o meno, e in quel momento arriva Roberto, che si difende davanti alla regina delle accuse subite. Elisabetta gli ricorda i bei giorni vissuti da innamorati (Un tenero core mi rese felice) e chiede a Roberto se ama una qualche fanciulla. Roberto dice di no, ed Elisabetta parte sospettosa.


Entra Nottingham che abbraccia l'amico, promettendogli che lo difenderà fino alla morte (Forse in quel cor sensibile) e viene chiamato dal tribunale.




Appartamenti della duchessa nel palazzo di Nottingham


Sara attende Roberto, ed egli giunge, accusandola di tradimento. Lei risponde che, dopo essere partito dalla guerra, la regina l'aveva data in sposa al Duca. Roberto allora le giura eterno amore, dandole l'anello che prima Elisabetta gli aveva donato e parte (Questo addio fatale, estremo).




Atto II



Magnifica galleria nella reggia


I lord e le dame attendono il responso del Parlamento (L'ore trascorrono). Elisabetta entra ed apprende da Cecil la decisione: morte. Entra Gualtiero che ritorna dalla casa di Devereux, che gli spiega che dopo essere tornato fu arrestato, e questi cercò di nascondere una sciarpa che aveva al collo (che Sara gli aveva donato in passato). Elisabetta prende la sciarpa, furente, certa del tradimento di Roberto.


Entra Nottingham, e viene informato dalla Regina del responso del Parlamento. Dapprima rimane turbato, ma quando Elisabetta mostra al Duca la sciarpa, capisce che egli è l'amante della moglie, e la rabbia si fa strada in lui. Roberto viene condannato a morte (Và, la morte sul capo ti pende).




Atto III


Sala terrena nel palazzo di Nottingham


Sara attende il ritorno del consorte, e un parente del Duca le reca una lettera. È da parte di Roberto e le comunica di essere stato condannato a morte, e che può essere salvato solo se porterà l'anello alla regina. Sara fa per partire ma viene raggiunta dal Duca, che l'accusa di infedeltà (Io per l'amico in petto), legge la lettera, e ordina alle guardie di custodirla, affinché raggiunga il palazzo solo a condanna eseguita.





Orrido carcere nella torre di Londra


Roberto attende il suo destino: arriverà Sara con l'anello in tempo per salvarlo (Ed ancor la tremenda porta)? Le sue speranze sono distrutte dalle guardie che lo conducono al patibolo.



Gabinetto della regina

Elisabetta ha mandato Gualtiero al palazzo di Sara affinché la rimandi lì, dato che, impaurita dagli eventi, vuole la sua compagnia. Poi si rivolge all'amato Roberto, augurando che si salvi, anche se dovesse vivere nelle braccia dell'ignota amante (Vivi ingrato a lei d'accanto).

Giunge Cecil che la informa: Roberto sta andando al patibolo, ed Elisabetta chiede se egli avesse chiesto l'anello da dare alla regina, ma Cecil risponde di no. Gualtiero introduce Sara, pallida e sfinita, che da l'anello ad Elisabetta. Finalmente la regina capisce chi è l'amante di Roberto, ma Sara la supplica di salvare la vita al conte. È inutile: un suono funebre fa tremare i presenti, e Nottingham al colmo della gioia entra gridando che Roberto è morto. Elisabetta, sconvolta e furente, accusa Sara di tutto, ma il Duca si assume tutte le responsabilità. La regina condanna a morte i due coniugi, ed, ossessionata dalle visioni del fantasma dell'amato, abdica a favore di Giacomo I (Quel sangue versato).

domenica 28 giugno 2015

Anotonio De Santis - Marco Olivares: Mozart e Beethoven: Due Quintetti a Confronto



Breve guida all'ascolto del "Quintetto KV 452" di Mozart



                                                             
Wolfgang Amadeus Mozart
(Salisburgo, 1756 – Vienna, 1791)

Quintetto KV 452 in Mib maggiore per pianoforte e fiati

Tempi:
Largo – Allegro moderato
Larghetto
Rondò: Allegretto

Organico:
Pianoforte, oboe, clarinetto, corno, fagotto

Composizione:
30 marzo 1784

Prima esecuzione:
1° aprile 1784

Prima edizione:
Gombart, Augusta 1799

Durata:
25’ circa

«[…] il più bel lavoro che io abbia mai composto»

«Ho composto due grandi concerti e inoltre ho scritto un Quintetto, che ha prodotto davvero i più grandi applausi. Considera questo Quintetto il più bel lavoro che io abbia mai composto; è scritto per oboe, clarinetto, corno, fagotto e pianoforte. Vorrei che tu l’avessi ascoltato colle tue orecchie. E con quale grazia venne eseguito!»

Con tali entusiastiche parole, in una lettera del 10 aprile 1784, indirizzata al padre, Mozart parlava del Quintetto KV 452, finito di comporre il 30 marzo di quell’anno. Tre anni prima, un ennesimo scontro con Collaredo aveva spinto il compositore, cacciato a pedate da un cortigiano dell’arcivescovo, il conte Arco, a trasferirsi a Vienna. In questa città Mozart dà lezioni private, base principale del suo reddito, suona in numerosi concerti (in particolare, tutte le domeniche prende parte agli appuntamenti organizzati dal barone Gottfried van Swieten), e, naturalmente, si dedica alla composizione.

Tra le opere che vedono la luce nei primi anni viennesi non si possono non ricordare: Die Entführung aus dem Serail, i sei Quartetti per archidedicati a Haydn, e, soprattutto, i Concerti per pianoforte e orchestra dal KV 449 in poi; quest’ultimo genere tocca l’apice proprio nel 1784, anno di maggiore successo per Mozart nella capitale. Lo studio dedicato all’ampliamento del repertorio concertistico e la ricerca di nuove soluzioni formali si riflettono anche nel Quintetto KV 452; con i concerti, infatti, il Quintetto detiene un rapporto di parentela stilistica, condividendone la struttura in tre tempi, di cui l’ultimo è un Rondò, molto simile ai finali concertistici.


L’opera, però, è testimone anche della speciale attenzione che Mozart riserva agli strumenti a fiato nelle proprie partiture; il compositore dimostra, in queste splendide pagine, la perfetta conoscenza dei quattro strumenti, nessuno dei quali è predominante né messo in secondo piano. I quattro fiati suppliscono una piccola orchestra o un quartetto d’archi che accompagna il pianoforte, ma non rinunciano a quelle parti solistiche che hanno spesso, per esempio, proprio nei concerti per pianoforte e orchestra.





Ogni strumento è messo in luce nella sua qualità peculiare, emerge in forma concertistico-stilistica e in pari tempo cantabile, talora in un’unica figurazione che porge, poi, allo strumento successivo nella variante a esso congeniale: è come se il timbro dei fiati avesse qui determinato la melodia. La scelta dell’organico poneva, però, delle scelte particolari al compositore: i fiati, a differenza degli archi, non permettono fusioni coloristiche compatte con il pianoforte e c’è il rischio che il loro suoni ingeneri noia. Mozart, di conseguenza, modellò il materiale melodico in brevi frasi che creano e risolvono rapidamente le tensioni. Il risultato è una composizione di eccezionale maestria e inventiva, nella melodia, nel ritmo e nell’uso della sonorità strumentale. Caratteristica dell’opera, oltre all’innegabile meraviglia dell’amalgama delle voci, è, difatti, la straordinaria tensione del brano: attraverso un susseguirsi continuo di sfumature, Mozart trasforma le varie idee adattandola alle potenzialità espressive degli strumenti.





Il primo tempo inizio con Largo introduttivo nel quale ogni strumento esibisce la propria individualità e indipendenza dagli altri, stabilendo, nello stesso tempo, un perfetto dialogo concertanti; il Largo sfocia nell’Allegro moderato, di carattere pastorale, e anche qui è il carattere dominante degli strumenti a governare l’invenzione melodica. Il secondo tempo, un Larghetto, è il fulcro musicale del Quintetto: il tema d’inizio, semplice e trasparente, è condotto frase per frase con modulazioni armoniche. Infine, chiude l’opera un Rondò in 6/8, dal ritmo vivace e con un tema gioioso, ricco di vitalità.

Mozart scrisse il Quintetto in MI b magg. in previsione di un concerto da tenersi nel Teatro di Corte il 1° aprile del 1784. È interessante leggere l’intero programma del concerto, anche come documento sulle gigantesche proporzioni delle serate musicali dell’epoca:
1)     Una Sinfonia con trombe e timpani
2)     Un’aria cantata dal Signor Adamberger
3)     Il Signor Mozart, Kappelmesiter, suonerà un nuovo Concerto sul fortepiano
4)     Una quasi nuova Sinfonia
5)     Un’aria cantata da M.lle Cavalieri
6)     Il Signor Mozart improvviserà solo sul Fortepiano
7)     Per concludere, una Sinfonia

Il 10 giugno 1784 la famiglia Ployer organizzò un concerto a Döbling e in quell’occasione Mozart eseguì il Quintetto di fronte al musicista napoletano Paisiello. In una lettera al padre del 9 giugno 1784, Wolfgang scrive: «Il Signor Ployer ha organizzato un concerto a Döbling: la signorina Babette eseguirà il suo nuovo concerto in Sol [KV 453] e io il Quintetto [KV 452]; dopo suoneremo insieme la grande Sonata per due pianoforti [KV 488]. Ho intenzione di andare a prendere Paesello [sic], perché voglio che senta la mia allieva e il mio concerto».


Il Quintetto di Beethoven op. 16: affinità e differenze con il KV 452


                             
Dedicato al principe Joseph von Schwarzenberg, il Quintetto op. 16 per pianoforte e fiati ebbe una genesi abbastanza lunga: iniziato nel 1794 fu concluso solamente tre anni dopo e pubblicato, dall’editore Mollo, nel 1801. L’opera è spesso accostata al Quintetto KV 452 di Mozart e molti sono, in effetti, gli elementi che collegano le due composizioni: identico è l’organico (oboe, clarinetto, corno, fagotto e pianoforte), identica la tonalità (mi b magg.), uguale l’impianto formale (tre movimenti), simile l’atmosfera, serena e armoniosa.

Il Quintetto op. 16, come il suo “modello”, inizia con un’introduzione lenta che porta a un Allegro non troppo, ma è soprattutto il Rondò finale, caratterizzato da un vivace ritmo in 6/8, che tanto ricorda i finali dei concerti mozartiani, a mettere in risalto l’ammirazione per Mozart. Nonostante le evidenti affinità che collegano lo splendido quintetto mozartiano a quello giovanile di Beethoven, quest’ultimo presenta caratteri di notevole autonomia nella concezione generale.





Lo spirito concertante, prevalente nell’opera di Mozart, è abbandonato in favore di una maggiore fusione timbrica dei quattro strumenti a fiato, cui il pianoforte si affianca mantenendo, però, un ruolo di primaria importanza. Vale la pena ricordare che, nel 1797, Beethoven elaborò anche una trascrizione del Quintetto riducendolo a Quartetto per pianoforte, violino, viola e violoncello; scelta, questa, probabilmente dettata dalla possibilità di rendere maggiormente appetibile la pubblicazione, visto l’organico più consueto. La parte del pianoforte rimase identica, mentre il cambio e la diminuzione degli altri strumenti (da quattro a tre) costrinsero il compositore a rivedere l’intera partitura. La trascrizione presenta, rispetto all’originale, anche una maggiore seriosità e compostezza dovuta, principalmente, alla differente timbrica degli archi rispetto ai fiati.









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W.A.Mozart: " Quintetto K452 in Mib Mag (Largo - Allegro Moderato)"






W.A.Mozart: " Quintetto K452 in Mib Mag (Larghetto)"






W.A.Mozart: " Quintetto K452 in Mib Mag (Rondò-Allegretto)





Ludwig Van Beethoven: "Quintetto per pf. e fiati op 16 (Largo)"






Ludwig Van Beethoven: "Quintetto per pf. e fiati op 16 (Allegro Moderato)"




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