domenica 31 maggio 2015

Denise Ingrosso- "Non mi dir, Bell' Idol mio" - Don Giovanni

"Non mi dir, Bell' Idol mio" - Donna Anna

Dramma giocoso in due atti





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Atto Secondo: Scena XII a. Crudele! Ah non, mio bene! - Recitativo - Donna AnnaRisoluto - Larghetto - Archib. Non mi dir, Bell' Idol mio - Rondò - Donna AnnaLarghetto (Fa Maggiore) - Allegretto Moderato - Flauto, 2 Clarinetti, 2 Fagotti, 2 Corni, Archi


L' atmosfera oppressiva si protrae nella "Camera tetra" in cui Donna Anna e Don Ottavio, ormai essi stessi quasi simulacri di morte, meditano ancora sulla vendetta e sull' illusione del loro triste amore, la grande aria di Donna Anna "Non mi dir, Bell' Idol mio", preceduta da un recitativo accompagnato non meno che scultoreo, ha il sapore di un definitivo congedo dalle speranze di questo mondo. Nient' affatto esiziale per la costruzione architettonico complessiva, essa ha la funzione di separare la scena del cimitero dalla scena ultima non solo per motivi di banale verosimiglianza drammatica (permettere a Don Giovanni di rincasare) ma anche per accrescere l'attesa della inevitabile resa dei conti, incrementando la tensione con un episodio apparentemente estraneo, se non straniante: curioso che molti commentatori illustri, a cominciare da


 Hector Berlioz, l'abbiano giudicata addirittura con indignazione. E siamo così all'epilogo (finale secondo, scena XIII). Qui si pone subito un problema non secondario: in che rapporto di tempo sta questa scena con quella del cimitero? L'invito a cena fatto alle due della notte è per quella notte stessa, se Don Giovanni dovrà finir di ridere "pria dell'aurora"? Il libretto non ce lo dice. Ma la risposta è semplice: con l'atto sacrilego commesso da Don Giovanni il tempo, il suo tempo, si è fermato, e la scena finale, che può essere anche vista come un'allucinazione, si svolge in un tempo non più reale, ma mitico, il tempo eterno del giudizio universale. Nella sala preparata per mangiare ("Già la mensa è preparata"), Don Giovanni 


crede di vivere ancora nel presente (infatti i musici suonano alla sua tavola, per allietare la sua ultima cena, tre estratti di opere contemporanee, la terza delle quali è una citazione dell'ultimo successo di Mozart stesso), ma in realtà è già catapultato, senza ch'egli lo sappia, in una dimensione sovratemporale, o meglio atemporale. Ed è proprio questa proiezione a conferire alla scena, dopo l'estremo, vano appello di Donna Elvira - "cangiar vita"! - un carattere insieme irreale, eroico e mitico, avvolgendo il cavaliere in un'aura metafisica che lo estranea dalla sua più propria facoltà: quella di bruciare il tempo senza farlo mai arrestare.non solo per motivi di banale verosimiglianza drammatica (permettere a Don Giovanni di rincasare) ma anche per accrescere l'attesa della inevitabile resa dei conti, incrementando la tensione con un episodio apparentemente estraneo, se non straniante: curioso che molti commentatori illustri, a cominciare da Hector Berlioz, l'abbiano giudicata addirittura con indignazione. 
E siamo così all'epilogo (finale secondo, scena XIII). Qui si pone subito un problema non secondario: in che rapporto di tempo sta questa scena con quella del cimitero? L'invito a cena fatto alle due della notte è per quella notte stessa, se Don Giovanni dovrà finir di ridere "pria dell'aurora"? Il libretto non ce lo dice. Ma la risposta è semplice: con l'atto sacrilego commesso da Don Giovanni il tempo, il suo tempo, si è fermato, e la scena finale, che può essere anche vista come un'allucinazione, si svolge in un tempo non più reale, ma mitico, il tempo eterno del giudizio universale. Nella sala preparata per mangiare ("Già la mensa è preparata"), Don Giovanni crede di vivere ancora nel presente (infatti i musici suonano alla sua tavola, per allietare la sua ultima cena, tre estratti di opere contemporanee, la terza delle quali è una citazione dell'ultimo successo di Mozart stesso), ma in realtà è già catapultato, senza ch'egli lo sappia, in una dimensione sovratemporale, o meglio atemporale. Ed è proprio questa proiezione a conferire alla scena, dopo l'estremo, vano appello di Donna Elvira - "cangiar vita" - un carattere insieme irreale, eroico e mitico, avvolgendo il cavaliere in un'aura metafisica che lo estranea dalla sua più propria facoltà: quella di bruciare il tempo senza farlo mai arrestare.









Denise Ingrosso Introduzione e Variazioni per Flauto e Pianoforte Franz Schubert

Introduzione e Variazioni per Flauto e Pianoforte, Op. 160
sul tema del Lied "Trockne Blumen" da "Die Schone Mullerin"


MUSICA: FRANZ SCHUBERT

1.Andante (Mi minore)
2.Tema: Andantino (Mi minore)
3. 7 variazioni

ORGANICO: Flauto e pianoforte
COMPOSIZIONE: Gennaio 1824
EDIZIONE: Diabelli, Vienna, 1850
"Compose probabilmente per il flautista Ferdinand Bogner"



Nel gennaio del 1824 (ma c'è chi propone gli ultimi tre mesi del 1823), Franz Schubert scrisse sette Variazioni per flauto e pianoforte prendendo come tema il Lied numero diciotto della raccolta "Die schöne Müllerin", ciclo che allora non era state ancora pubblicato. Il titolo del Lied è "Trockne Blumen", "Fiori appassiti", mentre i primi versi recitano: "Ihr Blümlein alle", "Voi fiorellini tutti", donde le diverse diciture con cui queste Variazioni vengono a volte titolate.
Schubert non ha composto altro, in precedenza, per flauto e pianoforte; né replicherà, in futuro, per questo organico: un unicum sono le Variazioni op. post. 160, D. 802: il capolavoro.
Schubert le scrive praticamente su commissione, come buona parte della sua musica, come del resto allora usava. 

File Audio in Mp3 di Daniele Ruggieri

File Audio in Mp3 di Andrea Oliva
File Audio in Mp3 di Alexander Korneyev
File Audio in Mp3 di Maurizio Bignardelli
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Destinatario è il flautista viennese Ferdinand Bogner, strumentista di cui non è attestato il valore, e di cui sappiamo poco: fu insegnante al Conservatorio di Vienna dal 1821, mori il 24 giugno 1846. Però c'è un dato nella sua biografia, a nostra disposizione, che risulta fondamentale: Bogner era il marito di Barbara Fröhlich, contralto e pittrice (nata a Vienna, il 30 agosto 1797, ivi deceduta il 30 giugno 1879), la quale figura nelle enciclopedie di storia della musica, e soprattutto nella storia personale di Schubert, quale seconda delle famose quattro sorelle Fröhlich. Quattro musiciste, figlie del ricco mecenate Fröhlich di Vienna, che nella propria casa tenne per anni uno dei più frequentati salotti della città. 
Lì si ritrovarono letterati, pittori, musicisti; ospite fisso il poeta Franz Grillparzer
, legato da una lunga e turbolenta relazione con la terza delle sorelle (di lui Schubert musicherà alcuni testi). Felice, come meglio non poteva risultare dato il cognome "Fröhlich" della famiglia, l'atmosfera che ruotava intorno ad Anna (detta Nanette), Barbara, Katharina e Josephine. Schubert, che fu assiduo in casa Fröhlich, scrisse alcuni brani per le prime due: per Nanette, eccellente pianista e soprano, e per Barbara, a cui era legato anche da affinità anagrafica. Lei sposa del flautista Bogner, che Schubert volle impressionare con queste Variazioni, non solo impegnative sotto il profilo esecutivo, ma anche assolutamente lontane da quanto fino ad allora (e dopo mai più) era stato scritto per il flauto.
Ci si è spesso interrogati sul perché Schubert abbia preso quale tema per delle variazioni una canzone triste, posta al cuore di un ciclo che dice solo amarezza, solitudine, dolore. La variazione è sfoggio di brillantezza, di fiduciosa sicurezza: perché un Lied che parla di piccoli fiori ormai secchi, quelli un tempo donati da un amore ingannevole e ora in un tempo velocissimo trasposti nella tomba? Non è esteriore la scelta di Schubert. La melodia del Lied è rispettata quasi alla lettera; soprattutto nella prima esposizione viene lasciata praticamente intatta - con minime fioriture di note di volta - quella quartina con curvatura ora discendente ora ascendente che nel Lied originale disegnava le quattro parole chiave del testo di Wilhelm Müller:

 "die sic mir gab", "che lei mi dava", "mit mir ins Grab", "con me nella tomba". Quattro parole, sempre tre lettere ripetute: secche, monosillabi come gocce di dolore. Che Schubert - come sempre lui solo - sa vestire di leggerezza; un giro di note quasi prevedibile tanto è semplice, che sa di canzone popolare, su accordi pudichi, quasi un ostinato, del pianoforte. Non c'è ironia, non c'è tragedia. È un po' la stessa strada del poeta Müller, lui che si chiamava di cognome "mugnaio", e che al "Müller" infelice dedicò il proprio ciclo più famoso, con la storia del mugnaio che la bella mugnaia tradisce per via di un cacciatore. Come Müller, anche Schubert erge a protagonista delle Variazioni lo scorrere incessante dell'acqua del ruscello, il monotono girare a vuoto della ruota del mulino; il continuo mutamento contro la perenne ciclicità: entrambi senza punti saldi, entrambi viandanti, "Wanderer". E il "wandern" acquatico è in primo piano nelle Variazioni per flauto. Accostandolo all'acqua, Schubert precorre Debussy 


e l'acquaticità affidata al flauto dall'impressionismo. Acqua disegnano le variazioni (acqua come suono, ma anche come disegno, se andiamo a vedere i guizzi a rivoli graffiati veloci nei sessantaquattresimi dell'originale in manoscritto), acqua che scorre e acqua che inesorabile torna su se stessa. Dal clima di tragedia non si esce, anche se il passo (quasi una marcia funebre è la variazione finale) va dal minore al maggiore: la tonalità del Lied viene anch'essa rispettata - con la prima parte in mi minore, che sfocia nella seconda in mi maggiore - ma il carattere del modo maggiore non si apre alla consueta solarità. E il ritmo puntato, pesante, solenne, che è nel tema della voce ed enfatizzato nel pianoforte nella sezione finale, resta la caratteristica principale di queste Variazioni. Le dipanano alternativamente, ora il flauto, ora il pianoforte; tre per ciascuno. Ma il canto conclusivo, che li vedrà insieme, avrà la stessa piega amara della poesia di Müller, dove la primavera arriva e arriva maggio, perché tutto scorre - l'acqua, il tempo. Inutile bagnare di lacrime, sperando che si rianimino, dei fiorellini secchi.


Esecuzione di Daniele Ruggieri: Flute e Aldo Orvieto: Piano

Esecuzione di Sergio Pallottelli-flute and William Braun-piano

Esecuzione di Paul Michell Flauto e Stephen Walter Piano

Esecuzione di Sooyun Kim, Flute and Juho Pohjonen, Piano

Esecuzione di Emmanuel Pahud, Flute and Eric Le Sage, Piano




Denise Ingrosso Polonaise - Fantasie Chopin

Polonaise-Fantasie in La bemolle maggiore per Pianoforte, Op. 61

Musica: Fryderyk Chopin

Allegro maestoso
Organico: Pianoforte
Composizione: 1845 - 1846
Edizione; Brandus, Parigi, 1846
Dedica: Mme A. Veyret








File Audio Mp3 di Evgany Kissin





La Polonaise - Fantasie.
Appartiene all'ultimo periodo della creatività di Chopin (1846 - 1847) e costituisce uno degli esiti più ambiziosi di quel pianismo dalla forma "aperta", proiettata verso esperienze artistiche del futuro. Per la prima volta spariscono completamente i tradizionali segni dei "ritornelli" e le conseguenti ripetizioni testuali. Infatti per Chopin la Polacca non è più soltanto una danza, ma un poema di complessa articolazione, in cui le nostalgie dell' esule volontario non si appagano di rievocazioni, ora struggenti, ora pittorescamente fastose, pur sempre improntate ad un geloso intimismo. Il virtuosismo della scrittura, sotto l' influsso delle parallele
conquiste lisztiane, si fa più eloquente e vigoroso, così da sostenere l'empito di una nuova espressività, di maggiore risonanza epica.


Dal punto di vista tecnico la Polonaise - Fantasie presenta il seguente scheletro compositivo:
- Introduzione in la bemolle maggiore; primo gruppo tematico in la bemolle maggiore; secondo gruppo tematico in la bemolle maggiore e in mi maggiore; sviluppo del primo gruppo tematico; terzo gruppo tematico in si bemolle maggiore e si maggiore; intermezzo con due episodi con il quarto gruppo tematico in si maggiore e il quinto gruppo tematico in sol diesis minore, si maggiore e fa minore; ricapitolazione del primo gruppo tematico in la bemolle maggiore. Di fronte a questa struttura è facile immaginare come niente sia affidato al caso in tale composizione, anche se si avverte una estrema variabilità di situazioni psicologiche e sentimentali, indicative della fragile personalità di Chopin. Bisogna aggiungere che i contemporanei non capirono a fondo la novità del linguaggio di questa Polacca, pur apprezzandone le intuizioni armoniche e timbriche. 

Non mancarono successivamente esegeti che sottolinearono il magistero della forma musicale, dove "ogni evento sonoro suona inevitabile, ma non prevedibile (Rawsthorne)



Complessivamente in quest' opera di straordinaria varietà di accenti è proiettata tutta la gamma dell'arte del musicista, che anche in questa occasione non è inferiore alle altezze inventive raggiunte negli studi, negli ultimi Notturni e nella mirabile Berceuse.


Esecuzione di Evgeny Kissin

Esecuzione di Vladimir Horowitz

Esecuzione di Daniil Trifonov

Esecuzione di George Cziffra

Esecuzione di Martha Argerich

sabato 23 maggio 2015

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